Calciatori in quarantena, partite non disputate, classifica sub iudice, protocolli e circolari: è necessario mettere ordine nel caos COVID che ha travolto la serie A in questo inizio di 2022
Il giorno dell’Epifania, che doveva segnare la ripresa del campionato di calcio di serie A dopo la pausa natalizia, ha smascherato invece l’inadeguatezza di un sistema che fatica a stare al passo con il rapido evolvere della pandemia. Il repentino aumento dei contagi registratosi nelle ultime settimane ha colpito, come inevitabile, i tesserati dei club di serie A e ha, di fatto, posto il problema della disputa delle partite della 20^ giornata. Come noto, ben 4 partite su 10 non si sono giocate, a seguito di provvedimenti delle ASL territorialmente competenti ritenuti “ostativi”. La Lega serie A, infastidita dalla “invadenza” delle autorità sanitarie, ha tentato di correre ai ripari con la frettolosa approvazione di un protocollo, volto a stabilire regole più chiare per la disputa delle future partite. Il Napoli, impegnato nel posticipo serale, ha schierato in campo tre calciatori, nonostante per questi fosse stata disposta la quarantena dall’ASL di riferimento
Si è così generato un caos all’interno del quale ogni attore ha liberamente interpretato il proprio ruolo, i propri diritti e la portata delle proprie competenze. Il “dialogo” tra ASL e mondo calcio nella gestione della pandemia si è riproposto, come accaduto già nel 2020, in tutta la sua problematicità. Da un punto di vista giuridico, tutti i profili emersi sembrano meritevoli di specifico approfondimento e suggeriscono riflessioni di ampio respiro, anche con riguardo ai rapporti tra ordinamento statale e sportivo, nonché al concetto stesso di autonomia dello sport.
In questa sede, pur senza alcuna pretesa di esaustività, appare utile cercare di ricostruire i fatti degli ultimi giorni, offrendone una prima lettura in chiave giuridica. A tal fine, nell’arduo tentativo di dipanare la matassa, si ritiene opportuno affrontare separatamente quattro aspetti.
a) “Blocco” delle ASL e quarantena
Lo svolgimento della 20^ giornata del campionato di serie A è stata fortemente influenzata dai provvedimenti delle ASL di tutta Italia. In ben quattro casi la situazione relativa al contagio da COVID-19 all’interno del “gruppo squadra” è stata ritenuta tale da imporre all’intero gruppo la quarantena, di fatto quindi vietando la disputa delle rispettive partite. Se ovviamente nulla è stato eccepito con riguardo ai provvedimenti che hanno disposto l’isolamento dei soggetti positivi, qualche perplessità in più è sorta con riferimento all’applicazione da parte delle ASL delle nuove norme sulla quarantena.
Queste ultime, infatti, disposte dal d.l. 30 dicembre 2021, n. 229, e – nella parte che qui interessa – entrate immediatamente in vigore, in sintesi, esentano dalla quarantena il soggetto che abbia avuto contatti stretti con un positivo al COVID-19 dopo aver ricevuto la dose booster o nei 120 giorni successivi al completamento del ciclo vaccinale o alla guarigione. Secondo un regime definito nello stesso d.l. di “auto-sorveglianza”, a tale soggetto, se asintomatico, sarebbe imposto l’unico obbligo di indossare la mascherina di tipo FFP2 nei 10 giorni successivi al contatto.
Come, quindi, le ASL hanno interpretato queste disposizioni in riferimento ai calciatori di serie A? Stando a quanto comunicato in via ufficiale dal Bologna, l’ASL competente, da una parte, ha inevitabilmente disposto l’isolamento per i soggetti positivi e la quarantena per i contatti stretti, ma, dall’altra, ha imposto “la stretta sorveglianza e l’obbligo di indossare mascherina FFP2 per giorni 5 [perché non 10?, nda]” a tutti i calciatori con “terza dose” o guarigione/“seconda dose” ottenuta nei precedenti quattro mesi. Da questo, ne ha fatto conseguire “che tutti i componenti del gruppo squadra non potranno partecipare ad eventi sportivi ufficiali per almeno 5 giorni fino al 09/01/2022”. L’ASL, quindi, ha interpretato il d.l. di cui sopra nel senso che i soggetti esentati dalla quarantena possono intendersi in ogni caso sottoposti a “stretta sorveglianza”: questa circostanza, insieme al previsto obbligo di indossare mascherina FFP2, renderebbe di fatto impossibile per i calciatori la partecipazione ad un evento sportivo. In pratica, all’intero “gruppo squadra” del Bologna – ma alla stessa maniera è accaduto anche ad altri tre club nella stessa giornata – è stato vietato di disputare la partita.
Tale interpretazione è stata prontamente e aspramente criticata dai club di serie A, i quali hanno anche minacciato di rivolgersi al TAR per chiedere la corretta applicazione delle disposizioni legislative. In effetti, le autorità sanitarie sembrano “sconfinare” rispetto al dato normativo nella parte in cui fanno riferimento al concetto di “stretta sorveglianza”, non menzionato nel d.l.; d’altro canto, però, il ragionamento seguito si basa pure sull’incompatibilità, ineccepibile da un punto di vista logico, tra l’obbligo di indossare la mascherina e la possibilità di disputare un incontro di calcio.
b) Gare non disputate: sconfitta a tavolino o recupero?
In ogni caso, i club “fermati” dalle ASL rischiano la sconfitta a tavolino per non essersi presentati alla partita? La reazione da parte della Lega è stata decisa: nessuna gara è stata rinviata. Toccherà, pertanto, al Giudice sportivo assumere la decisione. La normativa federale (art. 53, c. 2 NOIF) prevede la sconfitta a tavolino con il punteggio di 0-3, nonché la penalizzazione di un punto in classifica, per la società che rinuncia alla disputa di una gara di campionato. A queste sanzioni si uniscono, inoltre, quelle pecuniarie fissate dalla Lega, oltre ad altre, ulteriori e diverse, che dagli stessi fatti possono scaturire dalla violazione del Codice di giustizia sportiva. Senza dimenticare che la rinuncia a disputare gare per due volte comporterebbe l’esclusione dal campionato (art. 53, c. 5 NOIF).
Tuttavia, la squadra che non si presenti è considerata rinunciataria, salvo che non dimostri la sussistenza di una causa di forza maggiore, che dovrà essere valutata in prima istanza dal Giudice sportivo e in seconda e ultima istanza dalla Corte Sportiva d’Appello (art. 55 NOIF). I provvedimenti delle ASL a ridosso dell’ultima giornata di campionato potrebbero, appunto, essere considerati cause di forza maggiore, ostativi quindi alla partecipazione dei club alle partite programmate da calendario. In questo senso depongono due circostanze. In primo luogo, è ancora attesa la decisione del Giudice sportivo sulla gara Udinese-Salernitana prevista per il 18 dicembre scorso e non disputatasi, secondo lo stesso schema verificatosi in occasione della 20^ giornata, a seguito del “blocco” imposto dall’ASL competente alla Salernitana: si può quantomeno sostenere che, con riguardo a questa fattispecie, l’omologazione del risultato a tavolino da parte del Giudice sportivo non consegua in maniera “immediata” e/o “automatica”. In secondo luogo, esiste l’importante precedente di Juve-Napoli dell’ottobre 2020, primo episodio in assoluto in cui il campionato di serie A ha dovuto fare i conti con i provvedimenti in materia di COVID da parte delle autorità sanitarie. In quel caso, il Collegio di garanzia del CONI (decisione n. 1/2021), sovvertendo le decisioni dei giudici federali, aveva considerato il provvedimento dell’ASL con cui si vietava al Napoli la trasferta come factum principis, integrante quindi l’ipotesi di causa di forza maggiore prevista dall’art. 55 NOIF. Questo precedente, pur non perfettamente sovrapponibile in tutti i suoi elementi, anche per via di un quadro normativo in materia di COVID nel frattempo sensibilmente mutato, appare argomentazione forte a favore del recupero delle partite non disputate durante il campionato in corso, scongiurandosi così l’omologazione di risultati a tavolino.
c) Il protocollo della Lega
Lo stesso 6 gennaio la Lega calcio serie A, a fronte dell’impasse creatasi, ha approvato un protocollo con l’obiettivo di garantire il regolare svolgimento del campionato nonostante la diffusione dei contagi tra i tesserati delle proprie società. Le nuove regole, coerenti con quelle già adottate dall’UEFA, stabiliscono l’obbligo di scendere in campo per le squadre con almeno tredici calciatori (di cui almeno un portiere), iscritti nelle rose di Prima squadra o Primavera e nati entro il 31 dicembre 2003, risultati negativi ai test COVID entro le 24 ore precedenti la gara. Detto protocollo ha quantomeno il merito di inserirsi all’interno di un quadro regolamentare che, al di là delle questioni attinenti al COVID, appare in generale particolarmente lacunoso: lo Statuto-Regolamento della Lega calcio, infatti, non disciplina alcuna ipotesi di rinvio delle gare, ma si limita a stabilire che “è […] in facoltà del Presidente disporre, sia d’ufficio sia a seguito di richiesta di una o di entrambe le Società Associate interessate, la variazione di data, dell’ora di inizio e del campo delle singole gare” (art. 29).
Tuttavia, al di là di alcune questioni interpretative che potrebbero venire in rilievo (ad es., è sufficiente che i tredici calciatori siano “iscritti nelle rose” o è necessario che siano effettivamente “a disposizione” al netto di squalifiche e/o infortuni?), non sembra che l’approvazione di questo protocollo possa risolvere definitivamente il problema. Infatti, qualora le ASL dovessero vietare nuovamente all’intero “gruppo squadra” di prendere parte ad una gara, resterebbe l’unica ipotesi di gareggiare con la squadra Primavera, sempre che, attingendo da questa rosa, la società riesca a trovare tredici calciatori maggiorenni negativi: solo in caso contrario, la Lega “delibererebbe di conseguenza”, ossia – si presume – disponendo il rinvio della gara. In pratica, i rischi per la regolarità – almeno intesa lato sensu – del campionato resterebbero non trascurabili. Proprio per questo motivo la stessa Lega ha sì approvato il protocollo, ma – così si legge – “con l’auspicio che non intervengano più le ASL con provvedimenti confusi e incoerenti”.
Vero è che l’applicazione di un protocollo simile a quello approvato dalla Lega sembra funzionare con buoni risultati in Premier League, dove pure nell’ultimo mese non sono mancati i rinvii di alcune gare causa COVID. Tuttavia, occorre operare due riflessioni. Da un lato, il protocollo, approvato con anticipo rispetto alla nuova ondata, appare particolarmente dettagliato e si differenzia per alcuni elementi: in questa sede basti citare il fatto che il board chiamato a decidere sul rinvio della gara non si limita a verificare il mero dato numerico dei calciatori negativi, ma valuta anche la concreta capacità del club di schierare una formazione, lo stato, la gravità e l’impatto del contagio nella società, la possibile preparazione della gara in sicurezza, i rischi per gli avversari e per gli altri soggetti che entrano in contatto con la squadra. In pratica, la Premier League tenta di preservare “concretamente” il regolare svolgimento della manifestazione, mirando a scongiurare partite di dubbio valore sportivo: en passant, sia consentito avanzare dei dubbi sulla trasferibilità di questo modello in un contesto ad alta litigiosità come quello della Lega serie A. D’altro canto, e forse con maggiore rilevanza, non può tacersi che il protocollo inglese è applicato all’interno di un contesto in cui non si registrano interventi delle autorità sanitarie locali paragonabili a quelli delle rispettive autorità italiane.
In conclusione, quindi, il fulcro della questione continua a ruotare attorno ai provvedimenti delle autorità sanitarie: se, in Italia, queste dovessero continuare a interpretare le norme sulla quarantena nel senso sopra visto, allora la serie A continuerebbe probabilmente ad essere in difficoltà, con buona pace di qualsiasi tipo di protocollo.
d) Quarantena violata e circolari “dimenticate”
Le polemiche sulla travagliata 20^ giornata hanno infine riguardato la decisione del Napoli di schierare in campo tre calciatori, per i quali nelle ore precedenti l’ASL competente aveva disposto la quarantena, in quanto soggetti vaccinati, senza dose booster, da più di 120 giorni. Come sopra evidenziato, il d.l. 229/2021 non esenta questi soggetti dalla quarantena in caso di contatto stretto con un positivo. Come mai, quindi, il Napoli ha deciso di schierare tre calciatori legittimamente sottoposti a quarantena dall’autorità sanitaria?
In via preliminare, occorre sgomberare il campo da un equivoco. Il d.l. 229/2021 consente gli sport di squadra, all’aperto o al chiuso, soltanto a chi sia in possesso di c.d. green pass “rafforzato”, ottenuto a seguito di vaccinazione o guarigione. Tale disposizione, che comunque entrerà in vigore dal 10 gennaio, non obbliga alla dose booster, non ancora ricevuta dai tre calciatori del Napoli, ma soltanto al possesso di un green pass, ancora in corso di validità, che attesti l’avvenuta vaccinazione o guarigione. Pertanto, da questo punto di vista, nulla quaestio: i calciatori del Napoli vaccinati, ma senza dose booster, potevano giocare prima del 10 gennaio e potranno continuare a farlo anche dopo, almeno fino alla scadenza del proprio green pass rafforzato.
Chiarito ciò, la partecipazione alla gara dei tre calciatori formalmente sottoposti a quarantena potrebbe trovare giustificazione in una circolare del Ministero della salute, per certi versi “dimenticata”, risalente al 18 giugno 2020, con cui, su proposta della FIGC, si tentava di regolare, a pandemia scoppiata da pochi mesi e in assenza di vaccini, l’attività agonistica delle squadre professionistiche. In base a questa circolare, l’ASL competente, nel momento in cui dispone la quarantena per alcuni componenti del “gruppo squadra”, può comunque consentire la partecipazione di questi alla partita purché risultino negativi al tampone molecolare effettuato il giorno della gara e, in ogni caso, imponendo loro la ripresa della quarantena al termine della gara. A ben vedere, però, la “sospensione” della quarantena resta una facoltà dell’ASL, libera quindi di esercitarla nell’esercizio del proprio potere discrezionale: nel caso specifico, stando almeno alle reazioni provenute dall’autorità sanitaria, restano dubbi sul fatto che ciò sia avvenuto.
Nel caso in cui tale giustificazione non reggesse, apparirebbe inevitabile la sanzione per i tre calciatori: a questo riguardo, l’ordinamento prevede una sanzione amministrativa pecuniaria dai 400 ai 1000 euro (d.l. 25 marzo 2020, n. 19, conv. in l. con mod. dalla l. 22 maggio 2020, n. 35, art. 4). Dal punto di vista sportivo, invece, per il fatto in oggetto non sembrano ravvisabili violazioni, né con riguardo ai tre calciatori, né con riguardo alla Società Sportiva Calcio Napoli, sempre che – lo si ipotizza sommessamente – i comportamenti non possano venire in rilievo sotto il profilo dei principi di lealtà, correttezza e probità, la cui osservanza è imposta dal Codice di giustizia sportiva a società, dirigenti e atleti “in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” (art. 4). In ogni caso, il precedente non è da sottovalutare, poiché potrebbe aprire la strada a sistematiche violazioni della quarantena da parte dei calciatori professionisti, dato che le sanzioni amministrative (meramente pecuniarie) cui questi andrebbero incontro appaiono indiscutibilmente modeste in relazione alla loro condizione economica e agli interessi delle società di cui sono tesserati.
*Alberto Orlando (nella foto sotto), nato a Casarano il 27.03.1993, è ricercatore (RTDa) di Diritto pubblico comparato presso l’Università del Salento. Si occupa di diritto comparato dello sport, intelligenza artificiale e sostenibilità delle società sportive. Ha conseguito presso la stessa Università la Laurea con lode in Giurisprudenza e il Dottorato di ricerca.