giovedì 24 febbraio 2022

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre". Intervento dell'Avv. Francesca Semeraro*

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre".

Oggi più che mai, è importante dare una risposta a questa domanda: è possibile per una donna atleta conciliare il diritto alla maternità con la carriera sportiva?

Spesso è accaduto e forse accade ancora oggi che per le nostre atlete la maternità non è certamente un sogno ed un diritto facile da realizzare e le notizie giunte negli ultimi anni confermano questa situazione, purtroppo, difficile da scalfire.

Quante come Carli Lloyd o Lara Lugli?

La prima, palleggiatrice e capitana di Casalmaggiore accusata e insultata sui social dai tifosi per una sola "colpa", sì, quella di essere incinta o Lara Lugli, rea per aver sottaciuto, al momento della sottoscrizione del contratto con la società di Pordenone, la sua volontà di diventare mamma.

La storia di Lara è venuta alla ribalta nel 2021, dopo la pubblicazione di un post sul proprio profilo Facebook, con il quale la pallavolista denunciava la risoluzione del contratto per "comprovata gravidanza" avvenuta immediatamente dopo aver comunicato alla controparte il proprio stato interessante, seppur non portato a termine a causa di un aborto spontaneo.

Purtroppo, una prassi ormai consolidata nel mondo dello sport femminile è l'utilizzo delle c.d. "clausole antimaternità" sottoscritte dalle giocatrici in sede contrattuale, attraverso le quali una donna è costretta a dichiarare, se vuole lavorare, la mancata volontà di avere figli, rimanendo altrimenti fuori dai giochi.

La questione che emerge è di estrema importanza perché oltre a porre l'accento sulla legittimità o meno delle già menzionate clausole, in contrasto con l'art. 31 della Carta Costituzionale, rileva anche un secondo problema e cioè quello relativo alla mancata qualificazione delle atlete come professioniste, rimanendo, pertanto, prive di qualsivoglia tutela.

A tal riguardo, un importante intervento si è avuto con l'approvazione della Legge di Bilancio 2018, con cui è stato istituito il Fondo Maternità, rifinanziato per il triennio 2019-2021, grazie al quale si prevede l'erogazione di un contributo fino ad un massimo di 1000 euro da parte dell'Ufficio dello sport, assicurando così all'atleta la propria continuità retributiva anche durante il periodo di congedo di maternità.

Sostegno fortemente voluto anche dalla Federazione Italiana Pallavolo (Fipav), come dichiarato dal Presidente Giuseppe Manfredi, rimarcando così l'intenzione di porre rimedio ad una tematica sempre più attuale.

Ed infatti, a partire dal 1° gennaio 2022 la Fipav eroga in favore delle atlete in gravidanza e delle neomamme che accedono al Fondo "La maternità è di tutti", sussistendone i requisiti, un sussidio di euro 500,00, che, affiancato a quello riconosciuto mensilmente dall'Ufficio dello sport pari ad euro 1000,00 e sino ad un massimo di 10 mensilità, assicura alle atlete la continuità retributiva durante il periodo della gravidanza ed in quello immediatamente successivo alla nascita dei figli.

Pertanto, come anticipato in precedenza possono accedere al fondo le atlete che, al momento della presentazione della domanda, soddisfino la contemporanea sussistenza dei seguenti requisiti: l'attuale svolgimento in forma esclusiva o prevalente di un’attività sportiva agonistica riconosciuta dal Coni; l’assenza di redditi derivanti da altra attività per importi superiori a 15.000,00 euro lordi annui; la non appartenenza a gruppi sportivi militari o ad altri gruppi che garantiscono una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; l’assenza di un’attività lavorativa che garantisca una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; il possesso della cittadinanza italiana o di altro paese membro dell’Unione Europea oppure, per le atlete cittadine di un paese terzo, il possesso di permesso di soggiorno in corso di validità e con scadenza di almeno sei mesi successiva a quella della richiesta.

Inoltre, le linee guida prevedono alternativamente l’esistenza di ulteriori requisiti che soddisfino  l'esistenza di una delle seguenti situazioni, come l'aver partecipato negli ultimi cinque anni a una olimpiade o a un campionato o coppa del mondo oppure a un campionato o coppa europei riconosciuti dalla federazione di appartenenza oppure l'aver fatto parte almeno una volta negli ultimi cinque anni di una selezione nazionale della federazione di appartenenza in occasione di gare ufficiali e l'aver preso parte, per almeno due stagioni sportive compresa quella in corso, a un campionato nazionale federale.

L’erogazione del contributo soggiace ad un’ulteriore condizione che prevede da parte dell’atleta l’interruzione della propria attività agonistica, a partire dalla fine del primo mese di gravidanza e non oltre la fine dell’ottavo.

Infine, le linee guida al punto 3 individuano le ipotesi di decadenza del contributo, stabilendo che lo stesso venga meno in due specifiche circostanze e, dunque, in ogni caso nel momento in cui l'atleta riprenda l'attività agonistica oppure in caso di interruzione di gravidanza, fermo restando il diritto alla percezione del contributo, questo permane fino alla ripresa dell’attività agonistica e comunque per non più di 3 mesi. Quindi, al verificarsi di queste due situazioni l'atleta è tenuta a dare immediata comunicazione al competente Ufficio per lo Sport, stante le conseguenze penali, civili ed amministrative previste dalla legge per indebita percezione del contributo di maternità.

Alla luce dell’analisi effettuata, è importante evidenziare come il supporto della Federazione Italiana Pallavolo abbia rappresentato un enorme passo in avanti per le donne atlete che decidono di affrontare un momento indimenticabile della vita di una donna, semplificando la gestione di una situazione spesso non scevra di difficoltà.

Federazione che, come riportano i dati rilevati per la stagione sportiva 2018-2019, vanta un significativo numero di atlete tesserate, 199.152 sono le atlete aventi una fascia di età compresa tra i 6 e i 17 anni, 32.891 quelle tra i 18 e i 26 anni, 8.097 le atlete di età tra i 26 ed i 30 anni, mentre 6.901 quelle over 30.

Certamente, merita menzione la notizia giunta alla ribalta in questi ultimi giorni riguardante l’assunzione da parte di un imprenditore fiorentino di una donna di 27 anni “anche se incinta” , ciò dovrebbe portarci a riflettere sulla gravidanza come situazione di normalità e non come un ostacolo alla realizzazione della donna, qualsiasi ruolo essa svolga.

In conclusione, sia nel contesto sportivo che al di fuori di esso si può, dunque, parlare di un processo di apertura nei riguardi di un tema importante per tante donne qual è sicuramente il diritto alla maternità senza alcuna limitazione?

 

*Avv. Fipav Francesca Semeraro - Studentessa iscritta al 2 anno del corso di laurea in “Diritto e Management Dello Sport” presso l’Università del Salento